Il testo è stato trascritto dall’intervento svolto in occasione del convegno organizzato da ANCI Lombardia il 16 aprile 2018 a Milano e mantiene in ampie parti il tono colloquiale.
Il nuovo CCNL è una occasione di innovazione, a me sembra questo il punto fondamentale.
Partiamo prima però da un’autocritica rivolta ai responsabili delle risorse umane dei comuni (quindi la faccio a me per primo).
Usciamo da una decina danni dove sui temi del personale abbiamo subito vincoli oggettivamente molto robusti.
Ilsostanziale blocco del turnover: non sono certo le piccole percentuali entro le quali è stato possibile assumere negli ultimi 10 anni che hanno garantito le necessità degli enti locali. I comuni hanno perso più del 13% dei propri dipendenti. Più del doppio di quanto sono diminuiti i dipendenti di tutta la Pubblica Amministrazione che infatti si è fermata al 6%.
I limiti sulla formazione che èvincolata alla spesa del 50% di quanto utilizzato in passato. Al di là del limite economico il segnale è chiarissimo: la formazione del personale è materia non rilevante, tagliabile. La formazione è colpita nella stessa della spesa per le manifestazioni o le auto blu. Quale azienda, proprio in fase di forte modificazione del proprio ruolo e con l’impossibilità di nuove assunzioni, avrebbe tagliato sulla formazione del personale, cioè proprio uno degli strumenti per rispondere alle difficoltà descritte?
Terzo elemento è il CCNL è rimasto bloccatoper 10 anni.
Ragioniamo sul contesto in cui si è verificata questa situazione.
Sono più di una quindicina d’anni che sul tema del lavoro pubblico si è diffusa e imposta una opinione pubblica che ha un pregiudizio negativo sul pubblico dipendente. Non rileva in questa sede discutere su chi ha la colpa di questo fenomeno, rileva invece che di questo pregiudizio siamo stati vittima ma alla fine lo abbiamo fatto nostro, lo abbiamo addosso, fa parte del pensiero “inconscio” dei nostri politici e dei nostri collaboratori, lo hanno interiorizzato i giovani. Quando mi capita di incontrare dei giovani che frequentano i Master delle facoltà di economia o di scienze politiche si respira e si sente diffuso questo pregiudizio. Quando mi capita di portare la mia testimonianza ai giovani presenti a questi incontri il primo obiettivo che mi pongo è cercare di convincerli che vale la pena andare a lavorare nella pubblica amministrazione perché, almeno in Lombardia, l’impiego presso una pubblica amministrazione è visto come una scelta di serie B se non di serie C: un ripiego.
C’è stata e c’è ancora una vigorosa campagna di stampa che alimenta questo pregiudizio. Pensate all’utilizzo massiccio di quegli spiacevolissimi episodi di assenteismo o di abuso della legge 104 che abbiamo registrato in questi anni e che hanno coinvolto alcuni enti locali. Si tratta di episodi reali e intollerabili in maniera assoluta, e,pur estremamente minoritari, sufficienti a favorire una generalizzazione di giudizio. E’ necessario certamente vigilare in maniera incondizionataaffinchéepisodi come quello di Sanremo o il più recente di Ficarra o gli abusi sull’utilizzo della 104 vengano evitati e, se scoperti, sanzionati in maniera inequivocabile. Bastano infatti pochi episodi per costruire robuste campagne di stampa con conseguenze notevoli e di lungo periodo.
Se quindi potevano esistere alcuni motivi che hanno favorito un atteggiamento rinunciatario in riferimento alla gestione attiva delle persone che lavorano nella Pubblica Amministrazione, questi motivi non giustificano ulteriori tentennamenti. Credo che cedere a questa tentazione rinunciataria da parte della dirigenza politica e tecnica degli enti locali sia stato fatto un grave; essenzialmente ci siamo allineati e abbiamo scelto di autolimitare la nostra iniziativa.
La gestione e lo sviluppo delle persone sono funzioni fondamentali per qualunque organizzazione e ancor di più per un ente locale. Quindi la questione non può essere solo patrimonio della parte tecnica ma deve coinvolgere la politica. Anche gli approfondimenti del CCNL che organizziamo in questi mesi rischiano di trincerarsi all’interno della questione tecnica e ritenere il CCNL solamente un problema di applicazione più o meno formalmente corretta di istituti contrattuali, perdendo completamente di vista le finalità e gli obiettivi che l’utilizzo degli istituti contrattuali stessi devono raggiungere.
Certo la complicazione normativa rischia di far diventare l’introduzione di un nuovo contratto un difficile rebus di incastri, pieno di trabocchetti e contraddizioni, ma questo non è il solo compito né il principale di chi deve sviluppare e gestire il personale e metterlo nelle condizioni migliori per svolgere il proprio lavoro e raggiungere gli obiettivi indicati dalle amministrazioni. Se agiamo così accreditiamo il pregiudizio che le persone che lavorano nei Comuni sono, al massimo, un problema e l’obiettivo da raggiungere diventa una sorta di “limitazione del danno” da gestire al meglio.
Il CCNL è invece l’occasione da sfruttare per uscire da questa sindrome di debolezza e di autocommiserazione che per 10 anni ci ha già sufficientemente coinvolto e bloccato.
IL CCNL 2016-2018 DELLE FUNZIONI LOCALI NON E’ UNA RIVOLUZIONE
Diciamo con chiarezza che il nuovo contratto collettivo nazionale non è una rivoluzione, non ha introdotto enormi cambiamenti. Ricordiamo che il CCNL è arrivato dopo 10 anni di blocco. Ricordiamo che è stato preceduto dalla Legge “Brunetta”approvata nel 2009 che annunciava una serie di cambiamenti molto forti (non necessariamente condivisibili) ma che rinviava l’attuazione dei cambiamenti alla approvazione dei nuovi CCNL, rimasti poi fermi fino ad oggi.
Prima della nuova stagione contrattuale, nel 2017, ci sono stati gli interventi della legge “Madia” che, in maniera complessa ed incompleta (diverse parti della legge Madia sono rimaste incompiute per l’assenza della approvazione dei decreti legislativi nei tempi dovuti, quindi di nuovo generando attese non compiute), ha modificato diverse parti della legge Brunetta purtuttavia senza abolirla.
Il rinnovo del contratto arriva quindi nel 2018 registrando anche il fenomeno che ipotesi valide nel 2009 o non erano tali fin dall’inizio o non lo sono diventate nei 9 anni intercorsi. A questo va aggiunto che il governo che ha approvato il nuovo CCNL doveva “per principio” fare qualcosa di diverso dal precedente senza rinnegarne completamente l’impianto normativo. Insomma ne è venuto fuori un ibrido non sempre convincente.
Un contratto infine concluso frettolosamente alla vigilia delle elezioni con dei passaggi nei quali con l’obbiettivo (questo condivisibile) di arrivare alla stipula prima delle nuove elezioni, si è lasciato ampio spazio ad ambiguità o confusioni che purtroppo saranno da affrontare in sede di applicazione.
IL NUOVO CCNL NON E’ RICCO
Il CCNLnon è ricco di risorse economiche. Il contesto economico finanziario del paese non lascia grandi margini su questo aspetto. Ma, credo, abbia contato molto di più il clima sfiduciato nei confronti della Pubblica Amministrazione poiché resto convinto che se il contratto fosse stato visto come una vera sfida che avesse scommesso sui dipendenti e che avesse loro posto delle sfide di innovazione e di risparmio e solo al raggiungimento di questi obiettivi avesse premiato economicamente il risultato, avrebbe avuto un potenziale di spesa certo più alto ma insieme un potenziale di risparmio di risorse pubbliche molto superiore.
IL CCNL LASCIA APERTI DIVERSI NODI
Nella recente campagna elettorale tra i programmi di tutti i partiti non si è vista molta attenzione ai temi della innovazione della pubblica amministrazione. Ciò fa immaginare che la situazione di “incompiutezza” permarrà per molto tempo. La mancanza di un quadro normativo chiaro e stabile non potrà che accentuare alcuni nodi lasciati aperti dal CCNL. Bastino solo ad esempio i temi dei limiti sulla costituzione del valore del fondo di salario accessorio o il tema delle incentivazioni discendenti dalla applicazione del codice degli appalti.
IL CCNL E’ COMUNQUE UNA OCCASIONE IRRINUNCIABILE
Esposti i limiti del nuovo CCNL, restano tutte le potenzialità che, dopo dieci anni, una nuova stagione contrattuale nazionale e decentrata apre. Come non perdere questa occasione?
ASSUMERE RUOLO APPROPRIATO DA PARTE DELLE AMMINISTRAZIONI
In prima istanza ricordiamo che, come ogni CCNL, la stagione contrattuale decentrata permette di giocare in modo pieno il ruolo che spetta alle parti. Cosa che non è prevalentemente accaduta nei precedenti CCNL.Siamo stati capaci di svolgere appieno la parte datoriale?
Non abbiamo ancora interiorizzato il fatto di essere una parte attiva e non solo reattiva nel negoziato. Spesso ci siamo limitati ad attendere le piattaforme di parte sindacale per poi agire solo di conseguenza. Questo deficit di consapevolezza del ruolo può farci perdere di vista la strategia da conseguire, ci fa richiedere indirizzo politico solo in risposta a richieste sindacali e rischia di farci reagire alle proposte altrui cercando risposte solamente sul piano tecnico/interpretativo.
Esercitare adeguatamente la parte datoriale richiede competenza e responsabilità. Certamente maggiore responsabilità che non quella di rispondere a stimoli esterni rinviando le risposte ad un indirizzo politico non adeguatamente preparato dalla stessa parte datoriale. Le innovazioni dettate dalla legge Madia rispetto alla legge Brunetta e il nuovo CCNL hanno riaperto spazi di contrattazione decentrata che richiedono proprio la piena assunzione del ruolo datoriale (e sindacale).
Gli spazi di contrattazione che la legge aveva tolto erano legati anche ad un cattivo utilizzo della contrattazione stessa. Ricordiamo che i “tetti” ai fondi di salario accessorio sono stati via via introdotti per un abuso utilizzato negli anni dello spazio contrattuale decentrato.
Pur mantenendo per legge un tetto dal salario accessorio il nuovo CCNL, coerentemente con quanto volto dalla legge Madia, invece ridà maggiore spazio alla negoziazione decentrata.
Questo spazio diventa significativo anche in ragione del fatto che è ormai in via di superamento il blocco del turn over e questo porterà (finalmente) a significativi ingressi di persone giovani nei comuni. In contesti ormai anziani (e in parte “rassegnati”) l’arrivo di giovani è una opportunità straordinaria. I primi mesi di lavoro per in nuovi arrivati sono quelli che daranno l’imprinting che poi condizionerà il modo di lavorare di queste persone per i futuri 20 o 30 anni.
Entrare in un contesto di rinnovo contrattuale e di negoziazione decentrata è un ulteriore possibilità di portare innovazione.
Quali sono le opportunità che il CCNL apre?
RISCOPRIRE INNOVAZIONI GIÀ POTENZIALMENTE PRESENTI MA LENTAMENTE “METABOLIZZATE” NEGLI SCORSI CCNL (CON COLPEVOLEZZA DI PARTE DATORIALE E PARTE SINDACALE).
Partiamo dalle relazioni sindacali(titolo 3 articoli da 3 a 8).
Si archivia la concertazione, il sistema viene articolato nei due modelli relazionali della partecipazione e della contrattazione integrativa;
A sua volta la partecipazione è articolata in informazione, confronto e organismi paritetici di partecipazione (negli Enti con più di 300 dipendenti).
La disciplina della contrattazione integrativa viene semplificata e aggiornata rispetto alle problematiche sorte in passato in sede applicativa. Ora sono regolamentati in modo puntuale i soggetti, i livelli, le materie, la tempistica e le procedure.
La ridefinizione delle relazioni sindacali è un’opportunità per crescere se si accetta di giocare davvero il ruolo di datori di lavoro. Non possiamo più ritenerci semplici tecnici applicatori: siamo i responsabili delle opportunità professionale delle persone che lavorano in comune e siamo responsabili delle performance del comune nei confronti ei cittadini.
Rivendicare un ruolo direzionale vuol dire coprire uno spazio importante ed è una questione non tecnica ma strategica.
Se è così ci sono delle conseguenze chiare: l’applicazione del nuovo CCNL non è una questione settoriale ma riguarda tutti settori dei comuni a partire dai responsabili di tutti i servizi. Occorre riuscire, senza annoiare i nostri colleghi di altri settori con questioni tecniche, a stimolarli ad individuare i possibili miglioramenti della gestione delle persone. Farsi dire quali sono le difficoltà che hanno a far lavorare il loro gruppo di collaboratori, perché faticano a trasmettere l’esatta dimensione degli obiettivi da raggiungere, perché non riescono incentivare coloro che ritengono diano una maggiore contributo al raggiungimento dei risultati. Capito questo dobbiamo poi noi (responsabili del settore risorse umane) essere capaci di dare loro risposta attraverso la contrattazione decentrata e l’applicazione ordinata del CCNL. Non interesserà loro la spiegazione delle contraddizioni tra CCNL e leggi, interesserà invece cogliere tutte le potenzialità che dal CCNL possono scaturire: questo è il ruolo di efficace servizio delle risorse umane di un Comune!
Seconda conseguenza è che la contrattazione decentrata richiede consapevolezza nella parte politica. Esattamente come abbiamo agito con gli altri settori del comune bisognerà andare nelle Giunte comunali e, di nuovo, non con la spiegazione tecnica del CCNL ma con la comunicazione delle potenzialità delle possibilità di scelta strategica che il CCNL permette soprattutto nel momento della stesura del primo contratto decentrato.
La “concertazione” si archivia e oggi si parla di partecipazione. “Le parole sono importanti”. Scegliere il termine partecipazione mette al centro l’ideache ci siano luoghi dove è utile confrontarsi ma le scelte finali non sono necessariamente figlie di un accordo, la responsabilità delle decisioni (e delle sue conseguenze) resta della parte datoriale. Affermo questo non per un problema di “potere” ma di “responsabilità”. A maggior ragione prendendo atto del fatto che anche con il nuovo CCNL tutte le eventuali responsabilità, comprese quella contabile o erariale, sono della parte datoriale e ogni responsabilità della parte sindacale è esclusa. Pur auspicando il maggior confronto possibile ricordiamo che alla fine la responsabilità di quel che esce è della amministrazione.
C’è nel nuovo CCNL il chiaro obiettivo di definire con maggiore chiarezza le relazioni sindacali. Richiamo su questo in particolare la distinzione tra obbligo di contrattare e l’obbligo di contrarre. Nel primo caso l’esito non potrà che essere un contratto sottoscritto dalle parti (anche laddove per garantire i tempi l’amministrazione agisca prima dell’accordo). Mentre l’obbligo a contrattare permette alla amministrazione, esaurito il periodo destinata alla contrattazione, di assumere pienamente la propria iniziativa.
Uno spazio un poco meno chiaro (ma chiarezza deve essere fatta nella negoziazione decentrata) riguarda la dizione “criteri generali” spesso richiamata in varie materie vuoi di partecipazione, vuoi di contrattazione. L’esperienza degli scorsi anni è stata piuttosto confusa: ci sono stati accordi decentrati che hanno definiti i criteri “generali” in maniera così “dettagliata” da individuare quasi nome cognome dei dipendenti coinvolti da quello o da questo istituto contrattuale.
LE PROGRESSIONI EOCNOMICHE ORIZZONTALI
Un secondo esempio riguarda le progressioni economiche (articolo 16 comma 2). Siamo di fronte alla enunciazione di selettività ma nella applicazione questa enunciazione è potenzialmente neutralizzabile. Dice infatti il CCNL che “la progressione economica di cui al comma 1, nel limite delle risorse effettivamente disponibili, è riconosciuta, in modo selettivo, ad una quota limitata di dipendenti”.
Vale la pena ri-partire dall’istituto delle progressioni orizzontali. Nel CCNL si (ri)afferma che le progressioni orizzontali si applicano in modo selettivo e per un numero limitato di dipendentibasandosi sulla valutazione delle prestazioni degli ultimi tre anni. Se la parole hanno un significato si apre nella contrattazione decentrata un ampio spazio per rendere effettive le progressioni e farne un veri strumento di crescita di aumento della produttività degli enti.
Certo se la contrattazione decentrata porterà a criteri formalmente corretti ma sostanzialmente del tutto inefficaci, sarà di nuovo (forse definitivamente) persa questa opportunità. Purtroppo ci sono enti dove la selettività e il numero limitato sono tali solo sulla carta dal momento che anche una valutazione che teoricamente può dare risultati tra 1 e 100 ma che assegna nei fatti alla stragrande maggioranza dei valutati un valore 100 può essere definita selettiva. Così come progressioni date al 99 per cento dei dipendenti è formalmente definibile come un quota “limitata” di dipendenti….
Probabilmente per arrivare ad una buona applicazione servirà un po’ di dialettica con il sindacato, una formazione forte per i “valutatori”, ma questi ostacoli non devono farci paura.
IL MERITO E LA PERFORMANCE
Il tema della performance e del merito è sviluppato agli articoli 68 e 69. In questi articoli si concentra lo sforzo maggiore di applicazione di parte dei principi della legge Brunetta modificata con quelli della legge Madia (e con la sua incompiutezza). Qui mi pare il quadro non sia ancora del tutto chiaro e quindi ci sono ampie potenzialità nei contratti decentrati (maggiori ma anche con la forte possibilità di una vanificazione totale nella applicazione). In particolare mi riferisco alla definizione della parte prevalente delle risorse da destinare alla performance organizzativa, e alla destinazione della performance individuale di almeno il 30% di tali risorse.
Il punto fondamentale a mio giudizio è essere molto chiari e sfidanti sugli obiettivi di performance che vengono individuati. Se siamo rigorosi nella misurazione degli obiettivi raggiunti si crea un sistema di performance efficace. Mi spiego con un esempio: se definisco come obiettivo “fare tutti i certificati che mi verranno richiesti” rischio di non individuare un obiettivo sfidante o migliorativo. Se invece siamo in grado di agire per confronto con l’anno precedente posso essere molto più chiaro: ad esempio dicendo l’attesa media per un certificato deve diminuire del 10% rispetto all’anno precedente.
In questo contesto la performance individuale può avere significato e spingere sia l’intero gruppo che i singoli a migliorarsi. A volte l’accento posto solo sulla performance individuale temo vada a cercare di supplire la nostra difficoltà di spingere la macchina su obiettivi chiari e sfidanti.
LA CONTRATTAZIONE TERRITORIALE
Di rilievo in fine è il potenziamento della contrattazione di livello territoriale (articolo 9), che consente di aggregare più comuni in un’unica sede di confronto con i sindacati eliminando il limite dimensionale (massimo 30 dipendenti) ed il vincolo di contiguità territoriale degli enti coinvolti.
Siamo abituati andiamo singolarmente alla trattativa e in maniera spesso disorganizzata. Il sindacato ha invece una struttura territoriale molto più efficace e organizzata, che confronta le soluzioni e cerca di prendere il meglio da ciascuna di esse. Dobbiamo imparare a farlo anche noi. Questo è un approccio che aiuta tutti gli attori (politica, tecnica e rappresentanze sindacali) ad avere maggiore consapevolezza del ruolo.
NEL CCNL CI SONO DELLE EFFETTIVE NOVITÀ CHE VANNO PRESE COME TALI.
Nel CCNL ci sono poi delle vere e proprie novità. Tra queste l’eliminazione definitiva ed effettiva della categoria D3. Dopo lunghi anni e contratti dove il principio è stato enunciato (ma mai reso effettivo) questa volta è stato attuato in maniera inequivocabile. Non è stato purtroppo possibile intervenire con analoga chiarezza per la categoria B3.
La univocità della categoria D credo che sia una buona opportunità se agganciata con la nuova definizione del percorso e degli istituti riguardanti le posizioni organizzative. E’ una maggiore apertura che dà la possibilità di valorizzare al meglio tutte le professionalità presenti proprio perché permette di muoversi in un area più ampia anche in fase di ingresso.
Ci sono nel CCNL anche altritre aspetti che non sembrano così rilevanti ma che immettono valori di solidarietà che in un comparto come quello dei dipendenti della PA è a mio avviso molto necessario. Si respira nei nostri enti un eccessivo individualismo che va combattuto. Su questi aspetti mi aspetto una grande e positiva convergenza tra parti datoriali e sindacali poiché entrambe hannosolo da guadagnare da un clima di maggiore benessere organizzativo in terno agli enti.
LE FERIE SOLIDALI
Mi riferisco alle ferie solidali (articolo 29) per cui su base volontaria il dipendente può cedere al collega che debba di prestare assistenza a figli minori per particolari condizioni di salute, le giornate di ferie eccedenti le quattro settimane annuali e le quattro giornate di riposo per le festività soppresse.
IL LAVORO AGILE
Stessa potenzialità ha losmartworking(Dichiarazione congiunta n. 3) per cui le parti auspicano la più ampia applicazione del lavoro agile da parte degli enti del comparto, nel rispetto della disposizioni di legge e delle indicazioni fornite dal Dipartimento della Funzione Pubblica.
IL WELFARE INTEGRATIVO
Infine merita un cenno il Welfare integrativo (art 72) per cui, con contrattazione integrativa,è possibile la concessione di benefici di natura assistenzialee sociale in favore dei propri dipendenti, tra cui ad esempio il sostegno al reddito, il supporto all’istruzione, contributi per attività culturali, ricreative e sociali, sovvenzioni e prestiti per dipendenti in difficoltà, polizze sanitarie integrative e strumenti a carattere mutualistico.
Sono tutti strumenti che permetterebbero di ricostruire legami positivi tra persone che vivono insieme sviluppando quella attenzione a situazioni personali che, sono convinto, genereranno anche aumenti di produttività. Pensiamo in particolare al lavoro agile (smartworking) che potrebbe finalmente (nel 2018) uscire dalla ossessione del “tornelli” come metodo per misurare la produttività. Ovviamente non sto dicendo di avvalorare condotte truffaldine e o di malcostume diffuse. Lo dico con cognizione di causa avendo dovuto più volte comminare sanzioni disciplinari fino al licenziamento in più di un comune dove ho operato.
Ma non è questo il futuro, la sfida che abbiamo davanti. Con gli strumenti tecnologici che oggi abbiamo a disposizione e per come è fatto il nostro lavoro, il tema del poter lavorare anche in maniera più agile è fondamentale. Permettetemi un esempio banale: è più semplice ed economico tenere uno sportello aperto fisicamente fino alle 21 o creare un sistema di Smart Workingper cui un cittadino da casa sua davanti al computer può interloquire con un dipendente fino alle 21 (che risponde da casa sua) e che on line gli fornisca il servizio richiesto?
La seconda strada è più interessante,e forse il problema di misurare la produttività con le ore chepassi in ufficio,si trasforma nel misurare l’efficacia del servizio che dai al cittadino. Se poi questo miglioramento permette anche di organizzare meglio il tempo di lavoro del dipendente, di fargli fare meno coda in macchina, di poter rispondere meglio alle mutevoli esigenze familiari che ha durante la vita lavorativa è solo meglio per tutti.
Per questi aspetti la pubblica amministrazione deve essere al primo posto e per certo aspetti dare il proprio contributo anche al miglioramento della qualità della vita anche dei lavoratori di aziende private.
Queste mi sembrano le potenzialità che il CCNL apre. Come sempre è nella mani delle persone che si cimenteranno a questo lavoro la possibilità di farne occasione di miglioramento. I responsabili dei settori risorse umane nei comuni hanno la professionalità e l’anima per provarci.